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Guida alle prestazioni di Genetica e di Biologia molecolare

Questa sintetica guida vuole fornire ai pazienti e ai medici un primo compendio di informazioni nella scelta delle prestazioni offerte dal Centro Diagnostico Pasteur.

Oggi il Centro Diagnostico Pasteur, con il suo personale medico altamente specializzato, motivato e con pluriennale esperienza, riesce a garantire la migliore accoglienza del paziente, una vasta gamma di servizi e affidabilità e rapidità nella refertazione dei risultati.


test specialistici


Infezioni Sessualmente Trasmissibili

Le infezioni sessualmente trasmissibili si trasmettono durante l’atto e il contatto sessuale. Sono malattie causate da circa 30 differenti agenti eziologici tra batteri, funghi o virus, la cui incidenza è in continuo aumento a causa dell’incremento della mobilità e alla tendenza ad avere rapporti sessuali con più partner.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno si verifichino nel mondo più di 340 milioni di nuovi casi d’infezioni sessualmente trasmesse, ad esclusione del’AIDS.
Le IST rappresentano a livello mondiale una delle principali cause di malattia acuta, infertilità, disabilità a lungo termine e anche morte, con gravi conseguenze sulla salute fisica e psicologica di milioni di uomini, donne e bambini. La diagnosi e la cura tempestiva di queste infezioni sono fondamentali per ridurre l’infettività del soggetto e limitare la diffusione del contagio.

Papilloma Virus Umano (HPV)

Il tumore alla cervice rappresenta una delle più comuni forme di tumore tra le donne, con circa 500.000 nuovi casi all’anno e 250.000 decessi nel mondo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto il tumore alla cervice come prima forma neoplastica totalmente riconducibile a un’infezione virale causata dal Papilloma virus umano (HPV).
HPV è un virus a DNA appartenente alla famiglia dei papovavirus ed è generalmente identificato in  base al tipo infezione che causa nell’ospite:
infezioni cutanee: colpiscono l’epitelio cheratinizzato
infezioni mucosali: colpiscono l’epitelio mucosale
Le infezioni mucosali interessano le mucose genitali, orale, congiuntivale e respiratorie, inducendo proliferazione epiteliale. Fino ad oggi sono stati identificati più di 200 ceppi di HPV, circa 40 tipi infettano le mucose, in particolar modo quelle genitali, causando le verruche veneree, note anche come condilomi acuminati o creste di gallo. Alcune lesioni possono però evolvere verso gravi forme neoplastiche. Per questo motivo gli HPV che infettano le mucose vengono divisi in base alla loro “aggressività”:
basso rischio (non - oncogeni): causano lesioni genitali benigne a basso rischio di trasformazione maligna (i più comuni sono i sierotipo 6 e 11, che da soli sono responsabili di circa il 90% delle verruche veneree).
alto rischio (oncogeni): causano lesioni genitali ad alto rischio di trasformazione maligna.
I più comuni sono i sierotipo 16, 18, 31, 45, 66. Il 16 (circa 50%) ed il 18 (circa 16%) sono responsabili di circa il 70% dei tumori della cervice uterina, oltre che di altri tumori della regione anogenitale. Altri ceppi conferiscono un rischio intermedio: 33, 35, 39, 51, 52, 56, 58, 59 e 68.
Si stima che almeno il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della propria vita con un virus HPV di qualunque tipo e che oltre il 50% si infetti con un tipo ad alto rischio oncogeno.
L’incidenza è significativamente inferiore nei paesi più sviluppati grazie alla prevenzione vaccinale mediante frequenti screening (Pap-Test) che permettono di identificare le donne con maggior rischio di incorrere in tale patologia.

Chlamydia trachomatis

Chlamydia trachomatis è un batterio endocellulare obbligato che causa il tracoma, le cui conseguenze possono portare a cecità, artrite reattiva, linfogranuloma venereo ed altre malattie sessualmente trasmesse che possono portare anche a sterilità nell’adulto, congiuntiviti e polmoniti in neonati da madri infette.
L’infezione rientra nelle malattie sessualmente trasmissibili più frequenti ed è più diffusa nella popolazione giovanile fra i 15 e i 25 anni, con una percentuale del 7,7% rispetto al 5,5% della popolazione generale.

Il materiale genetico di questo batterio consiste in un DNA genomico di 1000 kbp ed un plasmide criptico di 7,5 kbp, presente in 7-10 copie per batterio, che talvolta viene perso in alcuni ceppi.
La maggior parte delle infezioni da Clamydia è asintomatica sia in maschi che in femmine, tuttavia una mancata o errata diagnosi può portare ad irreversibili peggioramenti nel decorso della malattia.
Per questo motivo è importante fare una tempestiva ed accurata diagnosi di tale infezione.

Virus erpetici

Gli Herpes Virus sono virus a DNA a doppio filamento appartenenti alla famiglia degli Herpesviridae, responsabili di molteplici infezioni nell’uomo. Ad oggi sono noti 8 herpes virus umani:
herpes simplex 1 (HSV-1)
herpes simplex 2 (HSV-2)
varicella-zoster virus (VZV)
Epstein-Barr virus (EBV)
cytomegalovirus (CMV)
herpes virus 6 (HHV-6)
herpes virus 7 (HHV-7), asintomatico e non associato a particolari patologie
herpes virus 8 (HHV-8) associato al sarcoma di Kaposi.
Dopo un’infezione primaria sintomatica, tutti gli herpes virus mantengono uno stato di latenza asintomatico persistente nell’ospite, con sporadiche riattivazioni sintomatiche, dovute ad immunodepressione anche causata da stimoli esterni quali caldo, freddo, traumi, febbre, e stress. Gli Herpes Virus come HSV-1, HSV-2, CMV, EBV, VZV e HHV-6 sono agenti eziologici di infezioni acute del sistema nervoso centrale (SNC), soprattutto in individui immuno compromessi quali pazienti trapiantati o affetti da AIDS. Tra questi virus, gli herpes simplex sono la causa più frequente di tutti i tipi di encefaliti (dal 2 al 19%) e sono responsabili dal 20 al 75% dei casi di encefaliti necrotizzanti. HSV-1 è causa di encefaliti in soggetti adulti, mentre le encefaliti neonatali sono causate da HSV-2, mediante una trasmissione.

Farmacogenetica

La farmacogenetica studia le variazioni interindividuali nella sequenza del DNA in relazione alla risposta ai farmaci. L’obiettivo è la personalizzazione della terapia: “il farmaco giusto al paziente giusto”. Sulla base del risultato di un test genetico di routine è possibile predire la risposta di un paziente ad un certo farmaco.

Fibrosi Cistica

La fibrosi cistica (FC) è la malattia congenita, cronica, evolutiva, trasmessa con meccanismo autosomico recessivo più frequente nella popolazione caucasica: ne è affetto un neonato ogni 2500-2700 nati vivi.
La Fibrosi Cistica è causata da un’anomalia della proteina chiamata CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator) localizzata nella membrana apicale delle cellule di diversi epiteli la cui funzione è quella di regolare gli scambi idroelettrolitici. Il gene che codifica per questa proteina è stato identificato nel 1989 ed è sul braccio lungo del cromosoma 7.
Segni e sintomatologia
L’alterazione della proteina è causa di anomalia del trasporto di sali che determina principalmente una produzione di secrezioni “disidratate”: il sudore è molto ricco in sodio e cloro, il muco è denso e vischioso e tende ad ostruire i dotti nei quali viene a trovarsi.
La malattia coinvolge numerosi organi ed apparati: l’apparato respiratorio, dalle prime vie aeree al tessuto polmonare, il pancreas nella produzione di enzimi digestivi, il fegato, l’intestino e l’apparato riproduttivo, quest’ultimo soprattutto nei maschi. La Fibrosi Cistica può manifestarsi precocemente, in età neonatale o nelle prime settimane o mesi di vita, con gravità diversa, in alcuni casi in correlazione a particolari mutazioni geniche. Più raramente la malattia può evidenziarsi nell’età adolescenziale o adulta con quadri clinici meno gravi.

Celiachia

La celiachia è un disordine gastrointestinale di tipo autoimmune, caratterizzato da lesioni infiammatorie che coinvolgono la mucosa dell’intestino tenue in seguito a ingestione di glutine (contenuto in frumento, segale e orzo), con conseguente malassorbimento. Attualmente viene definita come patologia multisistemica immunomediata fortemente legata al sistema HLA, che associa determinati fattori ambientali (proteine del glutine) ad una importante base genetica (predisposizione).
Recenti studi hanno mostrato come la risposta immunologica scatenata dal glutine a livello dell’epitelio intestinale sia correlata a sistemi di presentazione degli antigeni di classe II. Nel 90% dei casi la malattia è associata alla presenza di antigeni HLA di classe II DQ2 e nel 6-8% ad HLA di classe II DQ8 (eterodimeri DQA1*0501/DQB1*0201, DQA1*0201/DQB1*0202 e DQA1*0301/DQB1*0302 rispettivamente).
La predisposizione genetica legata al sistema HLA è in grado di spiegare solo parzialmente la presenza di questa patologia; tuttavia questa correlazione permette di utilizzare l’indagine di HLA come test con valore predittivo negativo o per l’individuazione di soggetti a rischio.

Interleuchina 28B

Circa 170 milioni di persone nel mondo sono affette da HCV e sottoposte, attualmente, alla terapia standard con peg-interferone e ribavirina (PEG-RBV).
Solo nel 50% dei pazienti affetti da HCV di genotipo 1 si osserva una remissione virale sostenuta (SVR). Inoltre, questi farmaci comportano gravi effetti collaterali che richiedono talvolta la sospensione o la modifica della dose somministrata.
Molteplici studi hanno dimostrato che l’esito di tale terapia è influenzato sia dal genotipo virale che da cause legate all’ospite. Studi indipendenti hanno individuato una regione del gene IL28B sul cromosoma 19 che codifica per la proteina IFA--3 implicata nella risposta immunitaria contro HCV. In particolare, in questa regione sono emersi due polimorfismi (rs12979860 e rs8099917) fortemente associati alla variabilità interindividuale e che correlano con un’aumentata SVR in pazienti con infezione da HCV di genotipo 1. La riduzione di HCV-RNA dopo 7 giorni di terapia si è dimostrata più pronunciata in pazienti con C/C (rs12979860) o T/T (rs8099917) rispetto a soggetti portatori delle altre due varianti.
Una valutazione di questi SNPs in combinazione con gli altri fattori predittivi tradizionali di risposta terapeutica possono permettere di individuare i pazienti “non responder”, per i quali dovrà essere valutata la possibilità di somministrare terapie alternative anche in base ai nuovi farmaci antivirali presenti, e pazienti invece “responder” con genotipo favorevole, ai quali può essere somministrata la terapia standard, eventualmente personalizzandola in termini di durata.

Oncogeni

Gli oncogeni sono geni che codificano proteine coinvolte nella stimolazione o inibizione della crescita e divisione cellulare. In particolare, i protooncogeni contribuiscono a stimolare la proliferazione e la divisione cellulare mentre gli oncosoppressori evidenziano funzione opposta agendo negativamente sulla progressione del ciclo cellulare e quindi proteggendo la cellula dall’accumulo di mutazioni potenzialmente tumorali.

Talassemie

Le talassemie rappresentano un gruppo di malattie genetiche del sangue caratterizzate dalla riduzione o totale assenza della produzione di catene globiniche α, β, γ, δ. Questo si traduce in eritrociti con ridotto contenuto di emoglobina e anomalie morfologiche. Due sono le principali talassemie che ricoprono un importante significato clinico.
Alfa-talassemia: è tra le più diffuse malattie emoglobiniche nel mondo.
La presenza sul braccio corto del cromosoma 16 di due copie dei geni alfa globinici per genoma aploide rende tale patologia più complicata rispetto alla beta talassemia. Esistono due categorie importanti di alfa talassemia: la α+ talassemia (--/--), in cui uno dei due geni alfa su un cromosoma è inattivato. L’altra è la α0 talassemia (-α /αα), in cui entrambi i geni su un cromosoma sono inattivati. Questi riarrangiamenti sono causati sia da mutazioni che delezioni.
Tradizionalmente la diagnosi dei riarrangiamenti del gene veniva effettuata tramite Southern Blot e l’utilizzo di alcuni enzimi di restrizione, con un impiego notevole di tempo e di costi. I saggi che si basano sulla PCR invece sono più rapidi, meno costosi e più sensibili.
Beta-talassemia: è costituita da un gruppo eterogeneo di emopatie ereditarie recessive, causate da alterazioni del gene beta-globina (HBB) localizzato sul cromosoma 11 che determinano una sintesi ridotta (beta +) o assente (beta 0) delle catene beta del tetramero dell’emoglobina.
La maggior parte delle alterazioni sono singole sostituzioni, delezioni o inserzioni di pochi nucleotidi. Più raramente le beta talassemie hanno origine da grosse delezioni geniche.
Lo stato di portatore di beta talassemia, che risulta da mutazioni in eterozigosi del gene betaglobina, è clinicamente asintomatico ed è definito da caratteristiche ematologiche specifiche. L’incidenza annuale di individui sintomatici è stimata 1 su 100.000 nel mondo e 1 su 10.000 nell’Unione Europea, con tasso di mutazioni di HBB particolarmente elevato nelle popolazioni dell’area mediterranea.

Cario Type

Le anomalie cromosomiche rappresentano alterazioni del numero o della struttura dei cromosomi.
Le aneuploidie o anomalie numeriche, sono caratterizzate da un numero maggiore o minore di cromosomi rispetto al numero consueto, ovvero 46.
Si parla, ad esempio, di trisomia, quando si riscontra la presenza di un cromosoma in più:
Sindrome di Down o Trisomia 21
Sindrome di Patau o Trisomia 13
Sindrome di Edwards o Trisomia 18
Per quanto riguarda i cromosomi sessuali X e Y, l’aberrazione può contemplare la perdita o l’aggiunta di uno dei due cromosomi rispetto all’assetto normale XX che caratterizza il sesso femminile o XY distintivo di quello maschile. Si possono presentare anche forme di poliploidia caratterizzate da uno o più assetti aploidi soprannumerari che nell’essere umano risultano incompatibili con la vita. Le trisomie 21, 18 e 13 e le aneuploidie sessuali comprendono circa l’80-95% delle possibili aneuploidie cromosomiche identificabili e sono quelle maggiormente responsabili delle malformazioni fetali.
Eziologia
Il meccanismo principale con cui si producono le aneuploidie è costituito dalla non disgiunzione dei cromosomi omologhi o dei cromatidi durante la meiosi nel corso della gametogenesi. Si possono formare quindi gameti rispettivamente con un cromosoma in più ed uno in meno che, unendosi ad un gamete normale, daranno luogo i primi ad una trisomia, gli altri ad una monosomia.

Coronaropatie CAD

La coronaropatia e le sue manifestazioni cliniche, incluso l’infarto del miocardio (MI), sono tra le principali cause di morbilità e mortalità nel mondo occidentale. Non tutti i casi clinici sono riconducibili ai tradizionali fattori di rischio (età, sesso, ipertensione, diabete mellito, dislipidemie, fumo, etc).
In particolare, nelle forme “premature” di coronaropatie, l’unico fattore di rischio evidente è una storia familiare di malattia cardiovascolare, suggerendo la componente genetica come determinante nella genesi della malattia.
Recentemente sono stati condotti numerosi studi per l’identificazione dei geni responsabili dell’ereditarietà di tale complessa patologia. Gli studi di GWAS (Genome-Wide Association Study), di screening del genoma umano, hanno portato ad individuare diversi SNPs (varianti comuni del DNA associate al fenotipo di interesse) associati alla malattia coronarica, che interessano loci cromosomici diversi dai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare. Gli alleli di rischio fino ad ora identificati sono piuttosto frequenti nella popolazione occidentale e ad essi viene attribuito un effetto cumulativo: maggiore è il numero di alleli di rischio presenti in un individuo, più elevato è il rischio genetico di sviluppare una coronaropatia.
Pertanto dal punto di vista clinico l’indagine genetica condotta su tali loci può rappresentare uno strumento supplementare nella valutazione del rischio associato al CAD e portare ad un’eventuale terapia preventiva.

Coagulazione

Sono considerate malattie cardiovascolari tutte le patologie del cuore e dei vasi sanguigni. Le più frequenti sono la cardiopatia coronaria ischemica, tra cui l’infarto acuto del miocardio, l’angina pectoris e le malattie cerebrovascolari che comprendono l’ictus ischemico ed emorragico.

All’inizio del XX secolo le malattie cardiovascolari erano considerate la causa di circa il 10% della mortalità totale in tutto il mondo. Sul finire del secolo la percentuale è salita al 50% nei paesi industrializzati ed ancora oggi rappresentano la principale causa di morte nei paesi occidentali. La patologia cardiovascolare è considerata multifattoriale poiché generata da sinergie ambientali e genetiche. Tra le principali cause e/o fattori di rischio un ruolo di primaria importanza lo svolgono l’età, il sesso maschile, la familiarità per cardiopatia ischemica, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il fumo e lo stress. Tali fattori, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare tutti i casi di infarto che si manifestano in individui non a rischio e, per questo motivo, la ricerca e gli studi clinici si sono indirizzati verso l’individuazione di nuovi marcatori sia legati ai vari cicli metabolici (tra cui i processi emocoagulativi ed infiammatori) sia a livello genico al fine di individuare la predisposizione genetica allo sviluppo di una determinata patologia cardiovascolare.

Emocromatosi

L’emocromatosi ereditaria (HH) è una patologia dovuta ad alterazioni nei geni codificanti proteine coinvolte nel metabolismo del ferro.
Le mutazioni portano ad un eccessivo assorbimento di ferro da parte dell’intestino. Il progressivo accumulo di questo metallo provoca danni a livello di organi importanti come fegato, pancreas e cuore. L’HH è considerata una patologia comune: stime recenti su campioni di popolazione suggeriscono una frequenza di 1/1500-2000 in Italia. Esistono forme diverse di emocromatosi che si differenziano per i geni coinvolti e per la gravità dei sintomi:
Emocromatosi di tipo 1 o forma comune (gene HFE)
Emocromatosi di tipo 2 o forma giovanile (geni HJV e HAMP)
Emocromatosi di tipo 3 (gene TFR2)
Emocromatosi di tipo 4 (gene FPN1) e di tipo 5 (gene H ferritina)
Mediante il test genetico è possibile effettuare la diagnosi precoce e la scelta di trattamenti adeguati durante la fase asintomatica, permettendo di prevenire le conseguenze cliniche dell’eccesso di ferro.

Epatiti

L’epatite virale, una delle principali patologie più diffuse al mondo, rappresenta un processo infiammatorio a carico delle cellule del fegato (epatociti). La causa scatenante sono i virus epatotropici principalmente di tipo A, B, C, D e E. Si stima che nel mondo, circa 400 milioni di persone siano colpite da infezioni epatiche. L’evolversi delle infezioni verso complicazioni maggiori quali cirrosi e carcinoma epatocellulare causano, ogni anno, circa un milione di vittime. La cronicizzazione della patologia prodotta dai virus B (HBV) e C (HCV) rappresenta la frequente motivazione dei trapianti di fegato.

Virus dell’epatite C HCV

Il virus dell’epatite C è la principale causa di epatite acuta di origine virale che sovente cronicizza ed evolve in cirrosi epatica ed epatocarcinoma. L’infezione, la cui trasmissione avviene per via parenterale tramite contatto con sangue infetto, nell’ 85% dei casi circa si trasforma in patologia cronica.
La determinazione della carica virale di HCV RNA nei campioni di plasma/siero è un parametro importante nella gestione dell’epatite C cronica poiché la sua variazione rappresenta un’importante indicazione sulla risposta dei pazienti al trattamento farmacologico antivirale.
Il genoma ad RNAss del virus HCV presenta in posizione 5’ una regione altamente conservata e non tradotta denominata 5’-UTR, seguita dalla regione Core. Tali regioni rappresentano il target per i test di biologia molecolare. La loro variabilità genetica è alla base della classificazione di HCV in diversi tipi e sottotipi di uno stesso genotipo. La nomenclatura internazionalmente riconosciuta è definita secondo Simmonds: dall’1a all’1c, dal 2a al 2d, dal 3a al 3k (che in passato corrispondeva al genotipo10a), dal 4a al 4k, 5a, 6a-q e 7a. La regione 5’-UTR contiene regioni variabili tra i diversi genotipi che possono fornire informazioni precise sulla genotipizzazione dei tipi 1-5, 6a-b e 7a, ma non distingue in modo accurato i sottotipi 6g, 6f, 6q, 6m e 1a e 1b. Differentemente, la regione Core permette non solo l’identificazione dei genotipi 6g, 6f, 6q ma migliora l’accuratezza della distinzione tra 1a e 1b. Diversi studi clinici hanno dimostrato che i vari genotipi di HCV rispondono in modo differente alla terapia interferonica. In particolare le infezioni da HCV di genotipi 1b mostrano una percentuale di pazienti non risponder molto alta (90%), mentre i genotipi 1a, 2a, 2b e 3a hanno una più alta percentuale di risposta a lungo termine, che va dal 50 all’80% dei casi. Al genotipo 1b viene inoltre associata una più rapida evoluzione della malattia da epatite cronica attiva a cirrosi ed epatocarcinoma.
Da queste premesse si evince come la genotipizzazione di HCV sia uno dei parametri diagnostici utili ad una corretta e più efficace impostazione dei protocolli terapeutici.

Virus dell’epatite B HBV

Il virus dell’epatite B (HBV) appartiene alla famiglia degli Hepadnavirus ed è responsabile di infezioni epatiche transitorie, acute e croniche. Il danno sugli epatociti è conseguenza della reazione del sistema immunitario che si attiva nel tentativo di eliminare il virus. L’infezione si trasmette per via parenterale tramite contatto con sangue infetto (trasfusioni, siringhe infette), per via sessuale e tra madre e feto.
Il genoma di HBV è costituito da DNA circolare, parzialmente a doppio filamento. I circa 3200 nucleotidi sono arrangiati in 4 open reading frame codificanti rispettivamente per l’envelope (preS1, preS2 e l’antigene di superficie HBsAg), il core (proteina precursore preCore, HBeAg e HBcAg), la polimerasi (HBPol) e la proteina X (HBX). Il virus presenta un’elevata variabilità genetica e viene classificato in 8 genotipi diversi (da A ad H) sulla base di una differenza di sequenza superiore all’ 8%. Tali genotipi presentano una distribuzione geografica precisa e possono influenzare la biologia del virus e la gravità della malattia.
In un soggetto infetto l’HBV DNA compare precocemente, già dopo una settimana dall’infezione, cioè circa 616 settimane prima rispetto alla rilevazione degli anticorpi HBsAg (che a sua volta precede di 1-7 settimane l’aumento di GOT e GPT, della bilirubina e la manifestazione dei sintomi clinici).

Virus della immunodeficienza umana HIV

La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) è causata da HIV retrovirus del genere lentivirus che dà origine a infezioni croniche, scarsamente sensibili alla risposta immunitaria, che evolvono lentamente ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere un esito fatale.
L’HIV può essere trasmesso per contatto sessuale, esposizione a sangue o prodotti ematici infetti e mediante trasmissione perinatale.
Localizzazione topografica
Sono conosciuti due ceppi di HIV: HIV-1 e HIV-2.
Il primo è localizzato prevalentemente in Europa, America e Africa centrale. L’HIV-2 si trova per lo più in Africa occidentale ed Asia e determina una sindrome clinicamente più moderata rispetto al ceppo uno.
Infezione e sintomatologia
Generalmente l’infezione da HIV è geneticamente omogenea, anche durante le sue prime fasi, ma occasionalmente può essere causata da varianti multiple, divergenti.
Dopo la siero conversione gli individui infetti entrano in una fase asintomatica clinicamente stabile che può proseguire per anni. Questa fase è caratterizzata da persistenti bassi livelli di viremia nel sangue e da un graduale diminuzione dei linfociti T CD4+ che portano ad una severa immunodeficienza, infezioni opportunistiche multiple, decorsi clinici gravi e morte.
Metodi di indagine
I livelli del virus nel sangue periferico possono essere valutati misurando l’antigene HIV p24 nel siero (rilevabile solo nel 20% dei pazienti asintomatici e nel 40-50% di quelli sintomatici), mediante microcolture quantitative di HIV del plasma (spesso non rilevabile in individui asintomatici), oppure mediante misurazione diretta dell’RNA virale nel plasma, utilizzando l’amplificazione degli acidi nucleici o tecnologie per l’amplificazione del segnale.
Un’individuazione precoce dell’RNA del virus HIV è importante per dare inizio ad una terapia antivirale corretta e per limitare la trasmissione dell’infezione.

HLA

Lo Human Leukocyte Antigen (HLA) è un gruppo di geni polimorfici, localizzato sul cromosoma 6, che espletano una funzione di riconoscimento di alcuni agenti proteici da parte dei linfociti T.
Tale sistema di istocompatibilità è formato da molecole collocate sulla superficie cellulare che agiscono come antigeni: a contatto col sistema immunitario di un soggetto, generano una risposta immunitaria poiché riconosciute come estranee.

Il sistema dell’HLA è alla base del rigetto nel trapianto.
Esiste un’associazione statisticamente significativa tra Antigeni HLA e alcune malattie autoimmuni. Per alcune l’associazione è piuttosto forte, per altre più sfumata. Non sono noti i motivi di questo fatto. Fra le malattie che presentano questa associazione si possono segnalare la Spondilite Anchilosante, il Diabete Mellito Insulino Dipendente, l’Artrite Reumatoide.

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